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Notizie di Rambo
Aggiornamento sul giovane
scimpanzé oggi nel Centro di LWIRO in Congo.
Alcuni di voi ci hanno sostenuto nel 2011 per salvare il piccolo
scimpanzé Rambo. Il JGI Italia si impegnò per trovare una casa a
Rambo che due italiani, Astrid e Ugo, avevano trovato nel
villaggio di Rungu, nella Repubblica Democratica del Congo,
tenuto alla catena e destinato al traffico illegale forse come
carne selvatica o destinato all’industria dell’intrattenimento.
Il JGI Italia, prontamente avvertito dai due ragazzi, avviò una
frenetica ricerca e una raccolta fondi che ci permise di
trasferire Rambo dalla località di Rungu attraverso Isiro,
Mombassa e Goma, a Lwiro, sede del Centro di Riabilitazione per
Primati Lwiro (CRPL). Siamo lieti di informarvi che Rambo sta
bene e condivide la sua esistenza con altri scimpanzé a Lwiro, è
stato spostato dalla struttura dei piccoli ad una più grande
insieme al suo primo gruppo di inserimento ed è in attesa di
trasferimento in una nuova area semi-naturale che CRPL sta
costruendo grazie al sostegno di Arcus Foundation. Insieme ad
altri 12 scimpanzé Rambo potrà quanto prima godere di nuovi
spazi in un ambiente il più possibile simile al suo ambiente
naturale. Il problema del traffico illegale di scimpanzé ed
altri primati non accenna a fermarsi in Congo. I piccoli di
scimpanzé sono strappati al loro habitat e alle loro comunità
dai bracconieri per essere venduti come carne da macello o come
animali da compagnia e spesso uccidendo anche la madre e
l’intero gruppo di appartenenza. Il traffico di specie protette
come scimpanzé e gorilla è inoltre sfruttato da gruppi
terroristici per finanziarsi.
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I NOSTRI AMICI PRIMATI SONO IN SERIA DIFFICOLTA’
Pubblichiamo l’articolo del New York Times di Carl Zimmer,
tradotto per il JGI Italia dalla biologa Dalila Frasson, sullo
studio pubblicato da Science Advances che illustra la grave
situazione dei primati nel mondo: il 60% delle specie sono a
rischio di estinzione. Come Jane Goodall più volte ci ricorda
anche lo studio ci ricorda che se non interverremo entro i
prossimi 50 anni perderemo moltissime specie. Lo studio
sull’imminente rischio di estinzione dei nostri cugini primati
suggerisce l’importanza della recentissima pubblicazione
realizzata dal Jane Goodall Institute Italia in occasione dei 40
anni del Jane Goodall Institute “Scimmie come Noi. Guida alle
Grandi Scimmie nelle strutture Italiane” dedicata alla
conoscenza delle antropomorfe e ad ogni grande scimmia presente
nelle strutture del nostro paese. L’articolo di Zimmer illustra
con estrema chiarezza e compiutezza il risultato delle ultime
ricerche sullo stato dei primati.
New York Times, Carl Zimmer: In un recente studio dall’inedito
scopo, un gruppo di 31 primatologi ha analizzato ogni specie di
primate ad oggi conosciuta per stabilire qual è la loro
situazione relativamente a sopravvivenza delle diverse specie.
Per i nostri parenti più stretti le notizie emerse dallo studio
non sono per niente buone.
I ricercatori hanno stimato che i tre quarti delle specie
esistenti sono numericamente in declino, e che circa il 60%
delle specie sono ormai a rischio d’estinzione. Dai gorilla ai
gibboni, i primati stanno vivendo le condizioni peggiori delle
ultime decadi a causa della distruzione dell’habitat per
l’agricoltura, il bracconaggio e le estrazioni minerarie.
Anthony B. Rylands, ricercatore al Conservation International in
Virginia e co-autore dello studio in questione, pubblicato su
Science Advances, sostiene che nei prossimi 50 anni saremo
spettatori di moltissime estinzioni se le cose continueranno ad
andare in questa direzione.
“È un documento fondamentale”, sostiene Anne D. Yoder,
direttrice del Duke Lemur Center in nord Carolina. “E’ uno
studio che ha messo in evidenza una situazione preoccupante
senza partire da un allarmismo precostituito”.
Fare un bilancio di tutte le specie di primati esistenti è stata
un’enorme sfida, soprattutto perché i ricercatori continuano a
scoprire nuove specie ogni giorno. Dal 2000 sono state scoperte
85 nuove specie, portando il totale dei primati viventi a 505
specie.
Solo l’ultima settimana, un gruppo di ricercatori ha descritto
una nuova specie di gibbone in Cina. Il dottor Rylands sostiene
di sapere che quest’anno saranno annunciate almeno 7 nuove
specie di primati.
I ricercatori continuano a identificare nuove specie anche a
causa della deforestazione in quanto permette di addentrarsi in
regioni prima molto remote e inaccessibili.
Sostiene sempre il dottor Rylands che tra i ricercatori aleggia
una sorta di panico in quanto si è realizzato che se non si
trovassero queste nuove specie e se non le si descrivessero nel
più breve tempo possibile probabilmente le perderemo senza venir
a conoscenza della loro esistenza.
Questo impeto nelle scoperte è dovuto anche al fatto che i
ricercatori hanno iniziato ad analizzare il DNA dei primati ad
oggi conosciuti trovando che alcune popolazioni hanno un'unica
mutazione.
“Ci sono specie che abitano il pianeta terra in maniera distinta
da milioni di anni, anche se ai nostri occhi appaiono molto
simili”, sostiene la dottoressa Yoder. Sfortunatamente, secondo
la dottoressa Yoder, le nuove specie scoperte tramite l’analisi
del DNA sono pericolosamente rappresentate da pochissimi
esemplari viventi.
Le nuove ricerche non hanno portato però solo a cattive notizie.
“Alcune specie stanno facendo del loro meglio dal punto di vista
evolutivo” sostiene Katherine C. MacKinnon, antropologa
dell’università di Saint Louis e co-autrice dello studio. “Le
specie che hanno più probabilità di sopravvivere sono quelle più
generaliste e di conseguenza più adattabili ai cambiamenti che
le circondano”.
Purtroppo però, molte specie non sono così adattabili nel loro
comportamento. Tutte le antropomorfe (che includono gorilla,
scimpanzé, bonobo, oranghi e 19 specie di gibboni) sono
fortemente a rischio d’estinzione, mentre per i lemuri si parla
di un 87% delle specie totali. Altre specie a forte rischio
d’estinzione sono la scimmia ragno dalla testa marrone dell’Equador,
il colobo rosso del delta del Niger e i cinopitechi, macachi che
vivono nelle foreste indonesiane.
“La situazione è molto più drammatica rispetto a quello che
pensavamo 10 anni fa”, sostiene la dottoressa MacKinnon.
La dottoressa e I suoi colleghi hanno identificato una serie di
attività umane che stanno portando i primati verso il baratro
dell’estinzione come ad esempio il bracconaggio. Nell’Africa
occidentale continua infatti a crescere la domanda di carne di
scimmia in tutti i mercati locali.
“La foresta sta resistendo ma a breve tutto al suo interno verrà
sfruttato e distrutto”, sostiene il dottor Rylands.
Il bracconaggio, di primati e non, viene alimentato da un lato,
dal bisogno di sussistenza delle popolazioni locali che cacciano
i primati per nutrirsi ma, dall’altro lato, aleggia la richiesta
dei mercati del sud-est asiatico. Molta della carne cacciata è
destinata infatti al mercato cinese dove molte delle parti del
corpo degli animali si crede abbiano proprietà medicinali e
vengono ad oggi utilizzate nella medicina tradizionale.
Il dottor Rylands sostiene che è tale mercato del sud-est
asiatico la forza trainante del bracconaggio in tutta la
regione.
Un'altra minaccia alla sopravvivenza dei primati è rappresentata
dall’agricoltura e dal disboscamento incontrollato a cui
sottintende. Nel bacino amazzonico ad esempio, la foresta sta
venendo distrutta per far spazio ad allevamenti di bestiame e
campi di soia mentre in Madagascar stanno prendendo piede le
coltivazioni di riso.
I paesi occidentali stanno dal canto loro dando un grosso
impulso all’estinzione dei primati. L’olio di palma si trova
ovunque dai dolciumi al burro cacao al biodiesel utilizzato come
combustibile. Le piantagioni di palma da olio stanno
completamente distruggendo le foreste del sud est asiatico, una
delle regioni del mondo con la più alta biodiversità.
Anche i telefoni cellulari si collocano in questo triste
scenario. In Africa centrale i giacimenti minerari di Coltan, un
minerale contenuto in moltissimi apparecchi elettronici, si
trovano all’interno delle stesse foreste in cui vivono scimpanzé
e gorilla. “Avviene la distruzione delle foreste e al contempo
la caccia dei primati per lo stesso sostentamento di chi lavora
nelle miniere” sostiene il dottor Rylands.
Gli esseri umani hanno già causato l’estinzione di molte specie
di primati, ma è difficile stabilirne quante. Il Madagascar un
tempo ad esempio ospitava il lemure gigante che pesava quasi 160
kg.
Mentre i ricercatori non hanno mai potuto vedere con i loro
occhi questa gigantesca creatura, i resti fossili ci dicono che
ben 17 specie di lemuri si sono estinte da quando l’uomo
colonizzò l’isola 2.000 anni fa.
Più di recente, un primate denominato il colobo rosso di Miss
Waldron è scomparso dall’Africa occidentale. Non è più stato
avvistato negli ultimi 25 anni e per questo viene classificato
come estinto. In Cina il gibbone dalle mani bianche può dirsi
anche lui estinto.
Molte delle specie più a rischio non presentano più di poche
dozzine di esemplari viventi. Il loro destino si presenta
piuttosto tenebroso soprattutto perché abitano zone del pianeta
dove la popolazione umana è in continua crescita esponenziale.
In Madagascar, ad esempio, gli esseri umani si stanno
addentrando sempre più nelle foreste in cerca di nuovi
appezzamenti da coltivare. “E’ come una pentola a pressione dove
non si riesce ad eliminare la pressione”, sostiene la dottoressa
Yoder.
I ricercatori hanno poi enumerato molti altri motivi per cui la
crisi in atto rende ancor più cupo lo stato attuale delle cose e
lo scenario futuro.
Recenti studi hanno dimostrato come i primati siano
importantissimi per l’ecosistema in cui vivono. Cibandosi di
foglie e frutta permettono la dispersione di pollini e dei semi
attraverso i loro escrementi, garantendo così alla foresta di
rigenerarsi e d’essere rigogliosa.
“Le persone pensano ai primati come a glassa sulla torta e non
come ad una componente fondamentale dell’ecosistema”, sostiene
la dottoressa MacKinnon. Il senso comune dovrebbe decisamente
cambiare ora che sappiamo quanto importanti siano per la salute
stessa del nostro pianeta.
Il loro valore è stato inestimabile anche per capire la nostra
stessa evoluzione.
Il primo simil primate vissuto sulla terra risale a 80 milioni
d’anni fa e da qui si sono evolute le linee che ad oggi abitano
il pianeta. Comparando la nostra biologia con quella dei primati
abbiamo conosciuto quindi l’evoluzione dei nostri cervelli,
della vista e di come siamo vulnerabili alle malattie.
Se i primati si estingueranno perderemo l’opportunità di
conoscere molte altre cose.
Le prospettive sono tragiche, sostiene il dottor Rylands, ma se
smettessimo di cacciarli e gli garantissimo un posto sicuro dove
vivere forse la situazione potrebbe migliorare.
È più facile a dirsi che a farsi, egli ammette, in quanto le
comunità locali che coabitano le foreste con i primati soffrono
la fame e vivono anche della loro carne. Un’alternativa per
diminuire la pressione sui primati potrebbe essere la
costruzione di allevamenti di pesce che costituirebbero quindi
una fonte alternativa di proteine.
Soluzione ancora migliore e che garantirebbe un ottimo
sostentamento economico alle comunità locali sarebbe il turismo.
Moltissimi occidentali pagherebbero oro per poter godere della
bellezza della foresta vergine.
Il dottor Rylands utilizza la scimmia leonina come esempio di
come una specie può essere salvata dal baratro dell’estinzione.
Un tempo la scimmia leonina viveva in molte foreste delle coste
del Brasile. Quando le foreste furono rase al suolo per far
posto a piantagioni di canna da zucchero e altro, la specie era
quasi scomparsa.
Nel 1983, lo Smithsonian National Zoo di Washington, ha quindi
messo in atto una compagna per salvarli. I primati vennero
allevati in cattività e le foreste rimaste furono preservate e
la caccia bandita.
Oggi se ne contano 3.500 esemplari in natura, una piccola
popolazione ma almeno stabile.
Il dottor Rylands sostiene che ci sono casi così miracolosi ma
anche, di come la forte distruzione in atto renda tali miracoli
piuttosto difficili.
https://www.nytimes.com/2017/01/18/science/almost-two-thirds-of-primate-species-near-extinction-scientists-find.html?_r=0.
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