ALTRI ANIMALI: ANNO SELEZIONATO 2017

ALTRI ANIMALI

 

UMANITA'

 

 

LE SCIMMIE NON SONO AMIMALI DA COMPAGNIA

Dal 1998 il JGI Italia si impegna per la conservazione dei primati e per migliorare le loro condizioni di vita quando, purtroppo, sono costretti in cattività. Nel corso degli anni abbiamo ricevuto diverse richieste di informazioni da parte di cittadini interessati a prendere una scimmia come animale da compagnia. Non c’è da meravigliarsi perché sono animali bellissimi, simili a noi e danno l’idea di essere gestibili, inoltre l’uso scorretto nello spettacolo e nella pubblicità induce il pubblico a desiderarne il possesso come animali da compagnia. In questo ultimo periodo le richieste si sono purtroppo intensificate ed è chiaro che molti non immaginano quanto sia difficile avere una scimmia in casa e ingiusto possedere un animale selvaggio che dovrebbe invece vivere libero nel proprio ambiente naturale. Abbiamo tradotto per voi un articolo del primatologo inglese Ben Garrod pubblicato dal quotidiano The Guardian sull’argomento che ben affronta la problematica delle scimmie in cattività nel Regno Unito. .. ...
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Il Jane Goodall Institute disapprova l’uso di scimpanzé nel programma L’Isola dei Famosi
Il JGI è contro lo sfruttamento degli scimpanzé per l’intrattenimento

Il JGI Italia contesta a Mediaset l’uso di scimpanzé all’interno del programma L’Isola dei Famosi e chiede che non si ripeta il suo utilizzo, improprio e diseducativo. Nella lettera indirizzata a Mediaset anche una dichiarazione di Jane Goodall che sottolinea le ragioni del perché sia scorretto l’uso delle grandi scimmie e di altri animali selvatici nello spettacolo. Da sempre il Jane Goodall Institute si oppone all’uso delle scimmie antropomorfe nell’industria dell’intrattenimento e dello spettacolo. Il loro impiego è in assoluto contrasto con la vita e le abitudini normali dell’individuo e con le sue caratteristiche comportamentali, inoltre crea nel pubblico conoscenze erronee su questi individui. Lo scimpanzé è l’essere vivente più simile all’uomo, l’industria dell’intrattenimento tende ad usarlo proprio per questa rassomiglianza senza tuttavia tener conto che la vicinanza biologica e comportamentale all’uomo lo rende inadatto al suo sfruttamento per gli effetti e le conseguenze sia dell’addestramento che delle informazioni indotte nell’immaginario del pubblico.
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Notizie di Rambo

Aggiornamento sul giovane scimpanzé oggi nel Centro di LWIRO in Congo.
Alcuni di voi ci hanno sostenuto nel 2011 per salvare il piccolo scimpanzé Rambo. Il JGI Italia si impegnò per trovare una casa a Rambo che due italiani, Astrid e Ugo, avevano trovato nel villaggio di Rungu, nella Repubblica Democratica del Congo, tenuto alla catena e destinato al traffico illegale forse come carne selvatica o destinato all’industria dell’intrattenimento. Il JGI Italia, prontamente avvertito dai due ragazzi, avviò una frenetica ricerca e una raccolta fondi che ci permise di trasferire Rambo dalla località di Rungu attraverso Isiro, Mombassa e Goma, a Lwiro, sede del Centro di Riabilitazione per Primati Lwiro (CRPL). Siamo lieti di informarvi che Rambo sta bene e condivide la sua esistenza con altri scimpanzé a Lwiro, è stato spostato dalla struttura dei piccoli ad una più grande insieme al suo primo gruppo di inserimento ed è in attesa di trasferimento in una nuova area semi-naturale che CRPL sta costruendo grazie al sostegno di Arcus Foundation. Insieme ad altri 12 scimpanzé Rambo potrà quanto prima godere di nuovi spazi in un ambiente il più possibile simile al suo ambiente naturale. Il problema del traffico illegale di scimpanzé ed altri primati non accenna a fermarsi in Congo. I piccoli di scimpanzé sono strappati al loro habitat e alle loro comunità dai bracconieri per essere venduti come carne da macello o come animali da compagnia e spesso uccidendo anche la madre e l’intero gruppo di appartenenza. Il traffico di specie protette come scimpanzé e gorilla è inoltre sfruttato da gruppi terroristici per finanziarsi.

 

I NOSTRI AMICI PRIMATI SONO IN SERIA DIFFICOLTA’

Pubblichiamo l’articolo del New York Times di Carl Zimmer, tradotto per il JGI Italia dalla biologa Dalila Frasson, sullo studio pubblicato da Science Advances che illustra la grave situazione dei primati nel mondo: il 60% delle specie sono a rischio di estinzione. Come Jane Goodall più volte ci ricorda anche lo studio ci ricorda che se non interverremo entro i prossimi 50 anni perderemo moltissime specie. Lo studio sull’imminente rischio di estinzione dei nostri cugini primati suggerisce l’importanza della recentissima pubblicazione realizzata dal Jane Goodall Institute Italia in occasione dei 40 anni del Jane Goodall Institute “Scimmie come Noi. Guida alle Grandi Scimmie nelle strutture Italiane” dedicata alla conoscenza delle antropomorfe e ad ogni grande scimmia presente nelle strutture del nostro paese. L’articolo di Zimmer illustra con estrema chiarezza e compiutezza il risultato delle ultime ricerche sullo stato dei primati.
New York Times, Carl Zimmer: In un recente studio dall’inedito scopo, un gruppo di 31 primatologi ha analizzato ogni specie di primate ad oggi conosciuta per stabilire qual è la loro situazione relativamente a sopravvivenza delle diverse specie. Per i nostri parenti più stretti le notizie emerse dallo studio non sono per niente buone.
I ricercatori hanno stimato che i tre quarti delle specie esistenti sono numericamente in declino, e che circa il 60% delle specie sono ormai a rischio d’estinzione. Dai gorilla ai gibboni, i primati stanno vivendo le condizioni peggiori delle ultime decadi a causa della distruzione dell’habitat per l’agricoltura, il bracconaggio e le estrazioni minerarie.
Anthony B. Rylands, ricercatore al Conservation International in Virginia e co-autore dello studio in questione, pubblicato su Science Advances, sostiene che nei prossimi 50 anni saremo spettatori di moltissime estinzioni se le cose continueranno ad andare in questa direzione.
“È un documento fondamentale”, sostiene Anne D. Yoder, direttrice del Duke Lemur Center in nord Carolina. “E’ uno studio che ha messo in evidenza una situazione preoccupante senza partire da un allarmismo precostituito”.
Fare un bilancio di tutte le specie di primati esistenti è stata un’enorme sfida, soprattutto perché i ricercatori continuano a scoprire nuove specie ogni giorno. Dal 2000 sono state scoperte 85 nuove specie, portando il totale dei primati viventi a 505 specie.
Solo l’ultima settimana, un gruppo di ricercatori ha descritto una nuova specie di gibbone in Cina. Il dottor Rylands sostiene di sapere che quest’anno saranno annunciate almeno 7 nuove specie di primati.
I ricercatori continuano a identificare nuove specie anche a causa della deforestazione in quanto permette di addentrarsi in regioni prima molto remote e inaccessibili.
Sostiene sempre il dottor Rylands che tra i ricercatori aleggia una sorta di panico in quanto si è realizzato che se non si trovassero queste nuove specie e se non le si descrivessero nel più breve tempo possibile probabilmente le perderemo senza venir a conoscenza della loro esistenza.
Questo impeto nelle scoperte è dovuto anche al fatto che i ricercatori hanno iniziato ad analizzare il DNA dei primati ad oggi conosciuti trovando che alcune popolazioni hanno un'unica mutazione.
“Ci sono specie che abitano il pianeta terra in maniera distinta da milioni di anni, anche se ai nostri occhi appaiono molto simili”, sostiene la dottoressa Yoder. Sfortunatamente, secondo la dottoressa Yoder, le nuove specie scoperte tramite l’analisi del DNA sono pericolosamente rappresentate da pochissimi esemplari viventi.
Le nuove ricerche non hanno portato però solo a cattive notizie.
“Alcune specie stanno facendo del loro meglio dal punto di vista evolutivo” sostiene Katherine C. MacKinnon, antropologa dell’università di Saint Louis e co-autrice dello studio. “Le specie che hanno più probabilità di sopravvivere sono quelle più generaliste e di conseguenza più adattabili ai cambiamenti che le circondano”.
Purtroppo però, molte specie non sono così adattabili nel loro comportamento. Tutte le antropomorfe (che includono gorilla, scimpanzé, bonobo, oranghi e 19 specie di gibboni) sono fortemente a rischio d’estinzione, mentre per i lemuri si parla di un 87% delle specie totali. Altre specie a forte rischio d’estinzione sono la scimmia ragno dalla testa marrone dell’Equador, il colobo rosso del delta del Niger e i cinopitechi, macachi che vivono nelle foreste indonesiane.
“La situazione è molto più drammatica rispetto a quello che pensavamo 10 anni fa”, sostiene la dottoressa MacKinnon.
La dottoressa e I suoi colleghi hanno identificato una serie di attività umane che stanno portando i primati verso il baratro dell’estinzione come ad esempio il bracconaggio. Nell’Africa occidentale continua infatti a crescere la domanda di carne di scimmia in tutti i mercati locali.
“La foresta sta resistendo ma a breve tutto al suo interno verrà sfruttato e distrutto”, sostiene il dottor Rylands.
Il bracconaggio, di primati e non, viene alimentato da un lato, dal bisogno di sussistenza delle popolazioni locali che cacciano i primati per nutrirsi ma, dall’altro lato, aleggia la richiesta dei mercati del sud-est asiatico. Molta della carne cacciata è destinata infatti al mercato cinese dove molte delle parti del corpo degli animali si crede abbiano proprietà medicinali e vengono ad oggi utilizzate nella medicina tradizionale.
Il dottor Rylands sostiene che è tale mercato del sud-est asiatico la forza trainante del bracconaggio in tutta la regione.
Un'altra minaccia alla sopravvivenza dei primati è rappresentata dall’agricoltura e dal disboscamento incontrollato a cui sottintende. Nel bacino amazzonico ad esempio, la foresta sta venendo distrutta per far spazio ad allevamenti di bestiame e campi di soia mentre in Madagascar stanno prendendo piede le coltivazioni di riso.
I paesi occidentali stanno dal canto loro dando un grosso impulso all’estinzione dei primati. L’olio di palma si trova ovunque dai dolciumi al burro cacao al biodiesel utilizzato come combustibile. Le piantagioni di palma da olio stanno completamente distruggendo le foreste del sud est asiatico, una delle regioni del mondo con la più alta biodiversità.
Anche i telefoni cellulari si collocano in questo triste scenario. In Africa centrale i giacimenti minerari di Coltan, un minerale contenuto in moltissimi apparecchi elettronici, si trovano all’interno delle stesse foreste in cui vivono scimpanzé e gorilla. “Avviene la distruzione delle foreste e al contempo la caccia dei primati per lo stesso sostentamento di chi lavora nelle miniere” sostiene il dottor Rylands.
Gli esseri umani hanno già causato l’estinzione di molte specie di primati, ma è difficile stabilirne quante. Il Madagascar un tempo ad esempio ospitava il lemure gigante che pesava quasi 160 kg.
Mentre i ricercatori non hanno mai potuto vedere con i loro occhi questa gigantesca creatura, i resti fossili ci dicono che ben 17 specie di lemuri si sono estinte da quando l’uomo colonizzò l’isola 2.000 anni fa.
Più di recente, un primate denominato il colobo rosso di Miss Waldron è scomparso dall’Africa occidentale. Non è più stato avvistato negli ultimi 25 anni e per questo viene classificato come estinto. In Cina il gibbone dalle mani bianche può dirsi anche lui estinto.
Molte delle specie più a rischio non presentano più di poche dozzine di esemplari viventi. Il loro destino si presenta piuttosto tenebroso soprattutto perché abitano zone del pianeta dove la popolazione umana è in continua crescita esponenziale.
In Madagascar, ad esempio, gli esseri umani si stanno addentrando sempre più nelle foreste in cerca di nuovi appezzamenti da coltivare. “E’ come una pentola a pressione dove non si riesce ad eliminare la pressione”, sostiene la dottoressa Yoder.
I ricercatori hanno poi enumerato molti altri motivi per cui la crisi in atto rende ancor più cupo lo stato attuale delle cose e lo scenario futuro.
Recenti studi hanno dimostrato come i primati siano importantissimi per l’ecosistema in cui vivono. Cibandosi di foglie e frutta permettono la dispersione di pollini e dei semi attraverso i loro escrementi, garantendo così alla foresta di rigenerarsi e d’essere rigogliosa.
“Le persone pensano ai primati come a glassa sulla torta e non come ad una componente fondamentale dell’ecosistema”, sostiene la dottoressa MacKinnon. Il senso comune dovrebbe decisamente cambiare ora che sappiamo quanto importanti siano per la salute stessa del nostro pianeta.
Il loro valore è stato inestimabile anche per capire la nostra stessa evoluzione.
Il primo simil primate vissuto sulla terra risale a 80 milioni d’anni fa e da qui si sono evolute le linee che ad oggi abitano il pianeta. Comparando la nostra biologia con quella dei primati abbiamo conosciuto quindi l’evoluzione dei nostri cervelli, della vista e di come siamo vulnerabili alle malattie.
Se i primati si estingueranno perderemo l’opportunità di conoscere molte altre cose.
Le prospettive sono tragiche, sostiene il dottor Rylands, ma se smettessimo di cacciarli e gli garantissimo un posto sicuro dove vivere forse la situazione potrebbe migliorare.
È più facile a dirsi che a farsi, egli ammette, in quanto le comunità locali che coabitano le foreste con i primati soffrono la fame e vivono anche della loro carne. Un’alternativa per diminuire la pressione sui primati potrebbe essere la costruzione di allevamenti di pesce che costituirebbero quindi una fonte alternativa di proteine.
Soluzione ancora migliore e che garantirebbe un ottimo sostentamento economico alle comunità locali sarebbe il turismo. Moltissimi occidentali pagherebbero oro per poter godere della bellezza della foresta vergine.
Il dottor Rylands utilizza la scimmia leonina come esempio di come una specie può essere salvata dal baratro dell’estinzione. Un tempo la scimmia leonina viveva in molte foreste delle coste del Brasile. Quando le foreste furono rase al suolo per far posto a piantagioni di canna da zucchero e altro, la specie era quasi scomparsa.
Nel 1983, lo Smithsonian National Zoo di Washington, ha quindi messo in atto una compagna per salvarli. I primati vennero allevati in cattività e le foreste rimaste furono preservate e la caccia bandita.
Oggi se ne contano 3.500 esemplari in natura, una piccola popolazione ma almeno stabile.
Il dottor Rylands sostiene che ci sono casi così miracolosi ma anche, di come la forte distruzione in atto renda tali miracoli piuttosto difficili.
https://www.nytimes.com/2017/01/18/science/almost-two-thirds-of-primate-species-near-extinction-scientists-find.html?_r=0.

 

 

 

 
 

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